di Gianpiero Sabato
Si conclude con la conquista del primo obiettivo della stagione la prima parte della preparazione estiva del Milan. Vincere un trofeo ufficiale procura sempre una grande soddisfazione, farlo contro il rivale più odiato quella soddisfazione la aumenta a dismisura! La partita metteva in palio qualcosa in più della Supercoppa Italiana: c’era da confermare una superiorità nei confronti dell’Inter e dimostrare a qualcuno che quella superiorità apparsa evidente per tutta la scorsa stagione non era riconducibile solamente “a tre maledetti giorni di black-out nerazzurro”. Da questo punto di vista l’obiettivo è stato perfettamente centrato. Il Milan, con 55 minuti di grande intensità, ha messo in chiaro chi, attualmente, comanda in città. E’ vero che l’Inter era priva di alcuni dei suoi sudamericani reduci dalla Coppa America, ma è risultato abbastanza evidente che quella di Allegri oggi è una squadra ben collaudata a differenza di quella di Gasperini che sembra un cantiere ancora aperto. Le sorti del neo tecnico interista dipenderanno moltissimo da come si evolverà il chiacchieratissimo mercato nerazzurro: avere o non avere gente come Sneijder e/o Eto’o non è proprio la stessa cosa.
Il Milan di Allegri è invece una squadra in continuo progresso. Al di là degli aspetti tecnici o tattici, quello che oggi piace è il fatto che la squadra ha acquisito una mentalità vincente, una consapevolezza nei propri mezzi che gli permette di venire fuori dalle situazioni più complicate. Come diceva sempre il buon Zaccheroni “vincere aiuta a vincere”, e non c’è dubbio che la conquista del diciottesimo scudetto ha aumentato non poco l’autostima dei rossoneri. Non è un caso che quella contro l’Inter a Pechino è stata la prima rimonta vittoriosa della squadra di Allegri in un anno e passa di gestione, la conferma che oggi il Milan “sente” di essere la squadra più forte, almeno in Italia.
Oltre a questo, non si può non sottolineare che forse oggi il Milan ha in squadra i due migliori interpreti, a livello planetario, del ruolo del difensore e dell’attaccante, e cioè Thiago Silva e Zlatan Ibrahimovic. Tuttavia, nell’euforia del post vittoria, bisogna sottolineare che non sono solo rose e fiori.
Al di là del fatto che la squadra ha approcciato la gara con una “mollezza” che poteva risultare fatale nel contesto della sfida “dentro o fuori”, per lunghi tratti le caratteristiche del nostro centrocampo sono sembrate rappresentare un freno alla manovra. Oggi nella rosa dei centrocampisti abbiamo un solo giocatore con doti di palleggiatore, e cioè Clarence Seedorf, giocatore che non ha nella continuità la sua arma migliore (continuità sia nel corso della stessa partita sia, soprattutto, nel corso di un’intera stagione). Con gente dalle caratteristiche di Van Bommel, Ambrosini, Gattuso e Flamini la squadra spesso tende a recuperare il pallone troppo nella nostra metà campo senza avere le doti per cambi di gioco che permettano di rilanciare con velocità l’azione d’attacco. Si predilige il tocco breve in orizzontale che rappresenta un handicap per le caratteristiche dei nostri attaccanti. La chiave della partita di Pechino è stato il coraggio con cui il Milan ha interpretato il secondo tempo, spingendo i suoi mastini ad un pressing adeguato nella metà campo avversaria e favorendo così gli attacchi con la difesa avversaria spesso non schierata. Il Milan oggi è una squadra di ottimo livello, ma per il decisivo salto di qualità è necessario aumentare il livello della qualità a metà campo. Lo hanno capito tutti, anche tecnico e dirigenti che sono alla ricerca della famosa mezz’ala di cui abbiamo tanto bisogno. La speranza è che la difficoltà nell’ingaggiare un top player unita all’euforia dei successi non spinga la società a pensare definitivamente “che stiamo bene così”: sarebbe un delitto non provare a mettere la famosa ciliegina sulla torta che ci permetterebbe di cominciare a guardare dritto negli occhi anche gli avversari più blasonati in campo europeo |