Ci sono giocatori che passano da una società senza lasciare tracce, che deludono le attese riposte in loro e che scivolano via senza che nessuno si ricordi di loro.
E c’è, invece, chi, pur militando nelle fila di una squadra il breve spazio di una sola stagione, è riuscito a diventare famoso almeno quanto una bandiera.
E’ il caso di Luther Blissett, capace, nella sua breve esperienza, di diventare “un autentico simbolo” del tifo rossonero, anche se, purtroppo per lui, alla fine è diventato il modello di “tutto quello che un calciatore non deve fare”!
La generazione dei quarantenni (e più) lo conosce per aver assistito direttamente alle sue prodezze, quella dei più giovani per averne sentito parlare e perché spesso, ancora oggi, quando un attaccante sbaglia qualche gol incredibile si usa l’espressione “questo non lo sbagliava neanche Blissett”.
Addirittura, al “Bombardiere nero” è riuscito il colpo di prendere il posto di Egidio Calloni nello scomodo ruolo dell’attaccante “Sciagurato”.
Insomma, esperienza breve ma intensa ed indimenticabile.
Il colpo di mercato riuscì al Presidente Giussy Farina nell’estate del 1983, quando, per festeggiare il ritorno in serie A (dopo la seconda esperienza nella serie Cadetta), decise di ingaggiare Luther Blissett come erede dello “squalo” scozzese Joe Jordan.
Era l’epoca dei due stranieri per squadra, ed il Milan decise di affidare ad lario Castagner la coppia Gerets-Blissett.
Sarà una scelta deleteria: Gerets venne rispedito in Belgio dopo poche partite in quanto invischiato in un illecito sportivo consumato nel suo paese, Blissett si rivelerà un vero disastro.
Eppure il suo arrivo a Milanello fu accompagnato da autentici squilli di tromba.
Luther (giamaicano di nascita ma di nazionalità inglese) giocava in Inghilterra nelle file del Watford, squadra famosa per avere tra i suoi soci il noto cantante Elton John.
Blissett era un attaccante dallo score invidiabile, tanto da riuscire a segnare la bellezza di 95 reti in 245 presenze.
La sua stagione di grazia era stata quella 1982/83, nella quale si laureò capocannoniere con 27 gol in 42 partite e venne premiato con la Scarpa d’Oro quale miglior calciatore del campionato inglese.
L’accoglienza dei tifosi milanisti fu calorosa, ed il suo arrivo fu scandito da dichiarazioni roboanti da parte del bomber: la Gazzetta dello Sport riportò una intervista esclusiva accompagnata dal titolo “Milan, senti Blissett : Farò più gol di Platini!” e nella quale, tra l’atro, il giamaicano affermava che sarebbe diventato l’idolo dei giovani.
Purtroppo, per lui e per noi, le sue parole rimarranno dei desideri incompiuti.
Eppure le cose si erano messe subito per il meglio.
Blissett, infatti, si presentò al pubblico di San Siro segnando subito all’esordio casalingo nel successo per 4-2 contro il Verona. Ma tra quel gol e quello successivo trascorse più di un mese e mezzo, troppi per un attaccante come lui.
Alla fine i suoi gol saranno solo sei (di cui 5 in campionato), ma soprattutto sarà ingentissimo il numero di occasioni fallite.
Il tutto condito da una serie di strafalcioni che misero in mostra una carenza anche nei fondamentali.
Il pubblico lo attese a lungo, cercando di incoraggiarlo in ogni occasione e perdonandogli anche l’imperdonabile.
In fondo il povero Luther faceva tenerezza.
Ma un bel giorno la pazienza finì, perché si può sopportare tutto (o quasi), ma non che un attaccante milanista nel derby con l’Inter non riesca a spingere in porta un pallone da pochi metri quando ormai in porta non c’è più neanche il portiere (tra l’altro, quel simpaticone di Zenga!).
In quella occasione riuscì a mandarlo a quel paese in pubblico addirittura il mite Castagner.
Era troppo.
Quell’episodio sarà uno di quelli che rimarranno alla storia, ma non sarà l’unico.
Oltre a quello, ci porteremo per sempre nella mente il suo “celebre” gol contro l’Udinese alla quindicesima giornata: per fare gol a tutti i costi, spalmò la sua faccia sul palo nel tentativo estremo di buttarla dentro da due passi rimanendo sdraiato per terra per alcuni minuti.
Per non parlare poi di quella volta che nell’attesa generale e spasmodica di tutti quanti riuscì, in una gara di Coppa Italia, a tirare un calcio di rigore al secondo anello di San Siro.
La verità è che Blissett , nonostante l’affetto iniziale del pubblico, non riuscì mai ad ambientarsi, né a Milano né tanto meno a Milanello.
Il carattere, il clima, la lingua (non si ricorda di lui neanche una parola detta in italiano): chissà! Fatto sta che per un anno intero, insieme alla moglie Veronica, sembrò un pesce fuor d’acqua.
L’unico momento in cui si scosse fu alla fine del campionato, quando ormai in odore di essere rimandato in patria, ebbe un moto di orgoglio segnando due reti consecutive nelle ultime tre giornate.
Probabilmente il merito fu del carattere paterno di Italo Galbiati che da qualche settimana era subentrato al defenestrato Castagner che aveva già firmato con l’Inter.
Non fu sufficiente, e dopo una sola stagione e 39 gare ufficiali terminò la sua avventura con la nostra maglia.
Gli attaccanti che verranno dopo di lui non lo faranno rimpiangere per niente (anche perché è difficile fare peggio) , ma tutto sommato gli abbiamo voluto bene.
Tuttavia prima di acquistarlo forse i dirigenti avrebbero fatto meglio a fare delle indagini più approfondite sul conto del giamaicano: fu solo a metà della stagione che dall’Inghilterra rimbalzò la notizia che il soprannome di Luther Blissett era “Miss it”, che tradotto in italiano significa “Sbaglialo”!
Ma ormai era troppo tardi
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