Così recitava lo striscione che veniva esposto in Curva Sud nel settore occupato dai Commandos Tigre ad ogni gara casalinga del Milan per tutte le stagioni in cui ha indossato a nostra maglia, perché Carletto sin dal primo momento dimostrò quello spirito guerriero che tanto piace a tifosi.
Una vera tigre Carlo Ancelotti, capace di reagire ad ogni colpo infertogli dalla sorte, ad ogni avversità, ad ogni critica, ed anzi in grado di rinascere ogni volta più forte di prima.
Il senso della fatica e del sacrificio glielo aveva insegnato papà Giuseppe, che da piccolo aiutava nel duro lavoro dei campi, mentre dalla madre Cecilia aveva imparato a non piangersi addosso ed a reagire alle sventure, perché in fondo lui a fare il calciatore era stato baciato dalla fortuna e che “..al mondo parecchi soffrono e stanno peggio , e devi imparare a guardarti indietro..”.
Queste parole gliele pronunciò verso la fine del 1981 mentre era in un letto d’ospedale con un ginocchio in frantumi, quando per un fallo del fiorentino Casagrande al giovane e talentuoso Ancelotti il mondo sembrò improvvisamente meno bello di quello che aveva visto fino ad allora.
Da due anni era un perno del centrocampo della Roma di Liedholm, ed ormai era lanciatissimo anche nella Nazionale italiana di Bearzot che si accingeva a partecipare alla vittoriosa campagna spagnola del 1982.
Quel infortunio gli fece perdere quel Mondiale, ma non gli fece perdere la voglia di tornare in campo a riprendersi il suo posto.
Farà in tempo a tornare ed a mettere la firma sullo storico secondo scudetto giallorosso, ma la sorte decide di metterlo nuovamente a dura prova nel dicembre del 1983: uno scontro con Cabrini e salta l’altro ginocchio, fuori un altro anno.
Qualcuno pensa che stavolta è la fine, ma non ha fatto i conti con “Terminator” Ancelotti.
Torna nella Roma di Eriksson, continua a vincere, si batte come un leone e riconquista la Nazionale (nel 1986 partecipa alla fase finale del Mondiali in Messico).
I più giovani, che hanno conosciuto solo l’Ancelotti allenatore, possono così facilmente capire che le critiche e le cattiverie gratuite subite da tecnico non lo scalfiscono minimamente.
Ancelotti sopporta tutto, perché alla fine sa benissimo che a vincere sarà lui.
Non lo ferma nulla!
Alla fine della stagione ‘86/’87 il presidente giallorosso Dino Viola commette un grave errore di valutazione, e pensando di aver ormai spremuto tutto dal fisico di Carletto, decide di cederlo al Milan di Berlusconi.
Lo vuole fortissimamente Arrigo Sacchi: il tecnico di Fusignano sa benissimo che per creare un Milan vincente deve consegnare le chiavi del centrocampo a Carlo Ancelotti.
Il tecnico spinge forte, ed il patron milanista decide di regalarglielo all’ultimo minuto dell’ultimo giorno del mercato estivo (all’epoca bisognava consegnare i contratti nella sede della Lega, e per fare in tempo, nel traffico milanese venne usato un motorino!).
Sarà l’acquisto più importante del Milan di Sacchi, l’uomo che più di ogni altro riuscirà a dare il giusto equilibrio tattico al nascente squadrone milanista.
Ancelotti era un grande, grandissimo centrocampista, dotato di grandi qualità fisiche ed atletiche, fortissimo in interdizione, con uno spiccato senso tattico ed ottime capacità tecniche.
Un centrocampista completo, in grado di interpretare in campo i dettami e le idee che l’Arrigo si inventava in panchina.
A condire il tutto, grande leadership e grande presenza nello spogliatoio.
Quando era ancora un giocatore si capiva già che sarebbe diventato un grande allenatore.
Un aneddoto, infatti, racconta che prima di ogni partita del Milan entrava nello spogliatoio e chiedeva a Sacchi: “Mister, oggi che tipo di pressing vuole: a rullatamburo o a sfasciacarrozze?”.
Sembrava una battuta, ma non lo era: era solo un modo scherzoso per indicare i diversi tipi di approccio che la squadra avrebbe dovuto tenere in campo.
I preparatori atletici ed i medici di Milanello rigenerarono Ancelotti e ne segnarono l’ennesima rinascita.
Per almeno quattro stagioni (dal 1987 al 1991), Carletto fu uno dei migliori centrocampisti europei, dettando i tempi (insieme a Rijkaard a partire dal 1988) del dominio del Milan sacchiano in giro per il mondo.
Tra le tante cose, resta indimenticabile la corsa e l’esultanza dopo il gol segnato nella gara di ritorno della semifinale della Coppa dei Campioni contro il Real Madrid a San Siro il 19 Aprile del 1989.
Quel destro dal limite al 18’ segnò la fine del mito del Real Madrid (ci vorranno molti anni per tornare in auge), e l’inizio di quella che viene ancora oggi considerata la squadra di club più forte e spettacolare di tutti i tempi.
L’avventura in maglia rossonera si conclude a 33 anni, nel 1992, quando “il motore” di Carletto ha raggiunto il limite del chilometraggio consentito.
Ma anche l’uscita di scena sarà indelebile.
Il 17 Maggio 1992 il Milan di Capello (che sarà campione d’Italia) affronta il Verona, e nella sua ultima recita a San Siro, Ancelotti (entrato al 66’) mette a segno una fantastica doppietta nel tripudio della folla.
Un congedo commovente.
Congedo?
Ma neanche per sogno.
Il legame tra Ancelotti ed il Milan ormai è fortissimo, e quando nel novembre del 2001 Galliani decide di esonerare Terim e di chiamarlo alla guida dei rossoneri, il tecnico di Reggiolo non ci pensa due volte e contravviene anche alla parola data a Tanzi per un suo ritorno a Parma.
Dopo la parentesi sulla panchina della Juventus, Carletto arriva con l’etichetta dell’allenatore perdente, ma anche stavolta non ci metterà molto a dimostrare di essere il migliore.
L’esperienza sulla panchina rossonera sarà lunghissima (otto stagioni, contro ogni tradizione del cacio italiano) e soprattutto vincente.
Un po’ Liedholm ed un po’ Sacchi (i due grandi allenatori della sua carriera da calciatore), per i risultati ottenuti, per le innovazioni tattiche (albero di natale), per la capacità di dare equilibrio ad una squadra molto offensiva e per alcune invenzioni (Pirlo davanti alla difesa come vertice basso del rombo), non è azzardato definire quello di Carlo Ancelotti come il ciclo milanista migliore in assoluto.
L’unico dispiacere è stato quello di vederlo arrivare ad un soffio dal record assoluto di Nereo Rocco e di non averlo battuto.
Ma vedendo la storia di tutta la sua carriera calcistica ci viene da chiederci: ma sarà proprio vero che è finita?
In fondo, con un microfono in mano in mezzo al campo, non era lui che cantava “Forza lotta, vincerai, non ci lasceremo mai!”?
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